Il 24 marzo la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato da Laura Massaro, una donna vittima di violenza da parte dell’ex compagno, accusata di aver causato nel proprio figlio la cosiddetta sindrome da alienazione parentale. La Corte di Appello aveva anche disposto l’allontanamento del bambino e l’interruzione dei rapporti tra madre e figlio.
Qui di seguito riportiamo per esteso il testo diffuso dai legali di Massaro M. Teresa Manente; Antonio Voltaggio; Ilaria Boiano e Lorenzo Stipa (dall’agenzia di stampa DIRE) e nella rassegna stampa “Affido e allontanamenti”, troverete due articoli dedicati a questa vicenda. Sottolineiamo due aspetti importanti di cui abbiamo scritto più volte nei mesi scorsi:
da un lato, la definizione di tale sindrome come pseudoscientifica, dall’altro l’importanza dell’ascolto del bambino e della tutela del suo diritto alla bigenitorialità che non penalizzi ulteriormente la donna vittima di violenza. Da tempo, infatti, le associazioni per i diritti delle donne e i centri antiviolenza sottolineano come il ricorso alle argomentazioni della cosiddetta alienazione parentale inibisca molte donne dal denunciare i maltrattamenti per paura di vedersi sottratti i figli con l’accusa di essere madri “alienanti” o “malevoli”. Altri esempi di come “La neutralità favorisce sempre l’oppressore, non la vittima” (Elie Wiesel).”
“La Corte di Cassazione con ordinanza n. 286/2022 depositata in data odierna in accoglimento totale del ricorso presentato dalla signora Laura Massaro, annulla la decisione di decadenza dalla responsabilità genitoriale sul figlio minore e di trasferimento del bambino in casa-famiglia, ritenendo l’uso della forza in fase di esecuzione fuori dallo Stato di diritto. La Suprema Corte cassa la decisione della Corte di appello di Roma poiché ha inteso realizzare il diritto alla bigenitorialità rimuovendo la figura genitoriale della madre e ciò sulla base di apodittiche motivazioni che richiamano le consulenze tecniche, tutte volte all’accertamento dell’alienazione parentale, nonostante la stessa sia notoriamente un costrutto ascientifico”.
La Cassazione “stigmatizza infatti che tali consulenze fanno riferimento al postulato patto di lealtà tra madre e figlio, o al condizionamento psicologico, tutti termini che richiamano ancora la sindrome dell’alienazione parentale. La Corte di cassazione ribadisce che ‘il richiamo alla sindrome d’alienazione parentale e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo, costituendo il fondamento pseudoscientifico di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori, in ordine alla decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre’. Il collegio osserva inoltre che il diritto alla bigenitorialità così come ogni decisione assunta per realizzarlo non può rispondere a formula astratta ‘nell’assoluta indifferenza in ordine alle conseguenze sulla vita del minore, privato ex abrupto del riferimento alla figura materna con la quale, nel caso concreto, come emerge inequivocabilmente dagli atti, ha sempre convissuto felicemente, coltivando serenamente i propri interessi di bambino, e frequentando proficuamente la scuola’.
La Corte Suprema rileva ancora che l’autorità giudiziaria di merito ha del tutto omesso di considerare quali potrebbero essere le ripercussioni sulla vita e sulla salute del minore di una brusca e definitiva sottrazione dello stesso dalla relazione familiare con la madre, con la lacerazione di ogni consuetudine di vita, ignorando che la bigenitorialità è, anzitutto, un diritto del minore”.
Proseguono gli avvocati: “La Cassazione inoltre ritiene nullo il provvedimento dell’autorità giudiziaria di merito per non avere proceduto all’ascolto del minore, adempimento a tutela dei principi del contraddittorio e del giusto processo. Gli Ermellini ribadiscono sul punto che ‘in tema di affidamento dei figli minori l’ascolto del minore infradodicenne capace di discernimento costituisce adempimento previsto a pena di nullità, atteso che è espressamente destinato a raccogliere le sue opinioni e a valutare i suoi bisogni’.
La Corte precisa, inoltre, che ‘tale adempimento non può essere sostituito dalle risultanze di una consulenza tecnica di ufficio, la quale adempie alla diversa esigenza di fornire al giudice altri strumenti di valutazione per individuare la soluzione più confacente al suo interesse’. La Corte di Cassazione infine si esprime sulla prospettata e ordinata esecuzione coattiva consistente nell’uso di una certa forza fisica diretta a sottrarre il minore dal luogo ove risiede con la madre, per collocarlo in una casa-famiglia, ritenendo suddetta misura ‘non conforme ai principi dello Stato di diritto in quanto prescinde del tutto dall’età del minore, ormai dodicenne, non ascoltato, e dalle sue capacità di discernimento, e potrebbe cagionare rilevanti e imprevedibili traumi per le modalità autoritative che il minore non può non introiettare, ponendo seri problemi, non sufficientemente approfonditi, anche in ordine alla sua compatibilità con la tutela della dignità della persona, sebbene ispirata dalla finalità di cura dello stesso minore’”, concludono gli avvocati M. Teresa Manente; Antonio Voltaggio; Ilaria Boiano e Lorenzo Stipa.