Ho lavorato più di 30 anni nel Servizio Sociale Minori occupandomi di protezione e cura, di affido etero-familiare, di adozioni, di abuso e maltrattamento. Ho sempre cercato di garantire aggiornamento e formazione alla mia “cassetta degli attrezzi professionali”, nello sforzo di mantenere una sufficiente consapevolezza sulla ineludibilità che tale “cassetta” ero io, con la mia vision, i miei valori e i miei pregiudizi, e che stavo operando in un ambito delicatissimo in cui, parafrasando il grande maestro Gregory Bateson, “anche gli angeli esiterebbero”, ambito per altro ancora scarso di strumenti basati sull’evidenza scientifica.
Mi sono concentrata in particolare sulle conseguenze della violenza interpersonale, sul danno evolutivo correlato a esperienze sfavorevoli durante la crescita e sulla valutazione delle capacità genitoriali, esitati anche in varie pubblicazioni (si veda, ad esempio, il Quaderno “Valutazione e recuperabilità del danno evolutivo e delle competenze genitoriali nel maltrattamento dell’infanzia e adolescenza” a cura della Regione Emilia-Romagna, reperibile anche in questo Blog). Molta strada è stata fatta in tali ambiti, grazie alle ricerche sociali, alle neuroscienze, agli studi sugli sviluppi traumatici e sull’attaccamento, i quali sembrano progressivamente convergere verso una cornice multidisciplinare più rispettosa, quindi, della complessità intrinseca al nostro “oggetto” di studio.
Tuttavia, ho sempre avvertito la mancanza di una voce, quella che considero la più importante: la voce dei bambini e dei ragazzi che hanno attraversato i Servizi Sociali, una carenza non ancora colmata dai ricercatori italiani.
L’interesse per le opinioni e le esperienze dei bambini e ragazzi con gli assistenti sociali e altri professionisti dei servizi di protezione dell’infanzia dovrebbe andare di pari passo al crescente riconoscimento internazionale sui diritti dei cittadini in crescita. In particolare l’ascolto delle loro opinioni per lo sviluppo di servizi personalizzati rivolti ai cittadini in crescita che vivono condizioni di fragilità e/o avversità. Tuttavia, nel nostro Paese le ricerche in tal senso sono assai scarse se non addirittura assenti, lasciando ampio margine a un assordante quanto confusivo “rumore opinionistico degli adulti” su cosa è giusto o sbagliato, privo di qualsiasi evidenza scientifica e monco di ciò che più conta: l’esercizio del diritto all’ascolto dei diretti interessati.
In mancanza (almeno così a me sembra) di ricerche su cosa pensano i bambini e i ragazzi dei Servizi Sociali che hanno attraversato, in un altro documento, reperibile nella sezione “Documenti” di questo blog, ho riportato i dati salienti tratti da una interessante review anglosassone, nell’auspicio di arricchire il dibattito su questo tema cruciale.
È mia convinzione che i giovani che abbiamo seguito (e che stiamo cercando di proteggere e di curare) possano fornirci un insostituibile feedback sul nostro operato, utile a sviluppare una funzione mentalizzante verso la nostra vision e la “cassetta professionale”, inclusi gli attrezzi che contiene e/o che dovrebbe includere.
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Mariagnese Cheli, psicologa psicoterapeuta, già responsabile del Servizio Sociale della ex Azienda USL Bologna Nord e del Centro Specialistico contro gli abusi e i maltrattamenti dell’Infanzia “Il Faro” – Azienda USL di Bologna- vicepresidente SISST (Società Italiana per lo Studio dello Stress Traumatico).