L’assoluzione di Claudio Foti in Cassazione comincia a mostrare il caso Bibbiano per quello che realmente è: una sorta di Waterloo giudiziaria. Oltre all’assoluzione nel secondo e terzo grado di giudizio dell’imputato maggiormente preso di mira mediaticamente, che aveva scelto il rito abbreviato, c’è un dibattimento ordinario con gli altri imputati che procede a Reggio Emilia (nell’indifferenza di tutti, visto che il processo è già stato “celebrato” mediaticamente cinque anni fa) dove in un anno di interrogatori la Procura non sembra stia percorrendo precisamente una marcia trionfale (si possono leggere al riguardo i puntuali resoconti di Simona Musco su il Dubbio). Sembra così possibile iniziare ad assumere questa vicenda nella sua sostanza profonda, al riparo da dibattiti ideologici su giustizialismo e garantismo che si erano già aperti ai tempi dell’assoluzione in appello dello stesso Foti e che eludono la sostanza di ciò che è in gioco.
Bibbiano è una sorta di epicentro multistrato dove si sono incrociati diversi livelli di problemi, tutti estremamente rilevanti, oscurati da un sensazionalismo mediatico che li ha coperti e mescolati.
Dipanare questa matassa è molto importante, perché uscendo da questo labirinto è possibile trarre alcune lezioni molto utili per la politica.
Gli strati dell’epicentro sono cinque. Le lezioni da trarre sono tre.
Vediamo prima gli strati dell’epicentro
1) Se si parla di epicentro è perché c’è stato un terremoto. Un terremoto mediatico che è andato oltre il consueto (ma sempre orrido) dispositivo “annuncio della magistratura-lapidazione mediatica”: milioni di tweet di haters da siti stranieri dotati di informazioni riservate il giorno stesso della conferenza stampa della procura di Reggio Emilia (un’inchiesta con un nome-sentenza -“Angeli e demoni”-), nessuna indagine che abba avuto esito sui colpevoli della fuoriuscita delle informazioni (as usual), televisioni a reti unificate in totale assenza di contraddittorio, durata inconsueta dello storytelling (giusto i sei mesi che separavano il lancio dell’inchiesta dalla campagna elettorale per le elezioni regionali in Emilia-Romagna), allestimento di una sceneggiatura molto accurata attraverso il link costruito con l’analoga vicenda di Finale Emilia (conclusasi peraltro con condanne di pedofili in tre gradi di giudizio) dove una contronarrazione costruita da Pablo Trincia nel podcast Veleno (una sorta di prequel di Bibbiano) veniva riproposta attraverso nuovi prodotti (un film e un libro) come si conviene ad ogni sceneggiatura ben costruita. È giusto ricordare, visto che nessuno lo ha fatto in cinque anni, che la vicenda Bibbiano prende le mosse non da fantasie persecutorie di qualche operatore, ma dalla vicenda di una madre condannata perché faceva prostituire la figlia minorenne con tanto di pedofili rei confessi.
2) Una colossale strumentalizzazione politica da parte di Fratelli d’Italia, Lega e M5S (allora al governo con la Lega), con un diluvio di prese di posizione perentorie, con video anche piuttosto trash, come quello di Salvini con in braccio una bimba che non c’entrava niente con Bibbiano o la Meloni che di fronte al cartello stradale di Bibbiano, dice “Siamo stati i primi ad arrivare qui e saremo gli ultimi ad andarcene”: il punto è che appena constatato l’esito delle elezioni regionali emiliano-romagnole del gennaio 2020, nessuno li ha più visti né sentiti, come se il problema dei bambini allontanati fosse improvvisamente svanito. A questo va aggiunto l’imbarazzato e imbarazzante silenzio della sinistra – non solo nei primi mesi, ma in tutti questi cinque anni-, incapace di distinguere tra l’opportunità tattica di non farsi seppellire dall’orda e la difesa di principi cardine, validi a prescindere dall’esito del processo, come i diritti dei minori (che non sono proprietà delle famiglie, ma titolari di diritti), il ruolo decisivo dei servizi sociali che hanno la funzione di tutelare questi diritti e la funzione fondamentale delle famiglie affidatarie che da sempre offrono ai minori in difficoltà un contesto affettivamente significativo, oltre che assai meno costoso rispetto al ricovero in comunità.
3) Il terzo strato dell’epicentro sono gli effetti collaterali. Se l’obiettivo di chi ha scatenato la polemica politica era quello di screditare il sistema emiliano romagnolo utilizzando come clava Bibbiano, le ripercussioni sono state drammatiche e devastanti su persone e contesti che non c’entravano nulla con Bibbiano, vale a dire sulla credibilità dei servizi sociali e delle famiglie affidatarie di tutta Italia e di conseguenza sulla tanto sbandierata tutela dei bambini.
Gli esiti sono: a) un aumento esponenziale della difficoltà dei servizi ad allontanare i minori dalle loro famiglie anche a fronte di episodi acclarati di violenza segnalati da scuole, polizia, pronto soccorso, pediatri (sui quotidiani è un bollettino di guerra giornaliero di episodi di violenza sui minori e di situazioni di pedofilia e pedopornografia); b) un consistente calo della disponibilità delle famiglie a prendere in affido minori in difficoltà a motivo del rischio di minacce da parte di genitori violenti che si fanno forti della vicenda Bibbiano; c) l’indebolimento radicale del tribunale per i minorenni, vanto della civiltà giuridica italiana, a motivo della riforma Cartabia che ha prodotto una sostanziale esclusione dalla funzione di co-decisione delle figure psicologiche e sociali, cruciali per comprendere un oggetto così complesso e sfaccettato come la psicologia di un minore e il relativo contesto familiare e sociale. Tutto ciò è avvenuto in nome del fatto che (cito dal dibattito in Commissione bicamerale infanzia e adolescenza della Camera) “come si è dimostrato a Bibbiano, i servizi sociali non sono in grado di gestire queste situazioni“. Dare per dimostrato un fatto quando il processo è ancora nella sua fase istruttoria significa acquisire sul piano politico e giuridico una sentenza costruita mediaticamente. E quand’anche fossero vere per Bibbiano queste accuse, ci stiamo riferendo a 1 caso in tutta Italia (tra l’altro di 8 minori sugli 800 gestiti da quel servizio: difficile sostenere che l’1% dei casi rappresenti la logica di un sistema, come sostiene l’accusa); nessuno si sogna di riformare la struttura dei Carabinieri per quei casi recenti di caserme dove sembra (ribadisco sembra) girassero droga, prostitute e coinvolgimenti con la malavita.
Anche nel caso si appurasse che qualche minore è stato allontanato troppo frettolosamente (tra l’altro 3 su 8 dei bambini oggetto dell’indagine non erano mai stati allontanati dalle loro famiglie e altri 3 erano già rientrati a casa al momento della conferenza stampa di annuncio dell’inchiesta) va detto che questo è sempre successo e succederà ancora. Gli assistenti sociali, che non sono infallibili come del resto tutti gli altri professionisti, trattano l’intervento più invasivo che lo Stato è costretto ad operare sui cittadini (l’allontanamento di un figlio) con stipendi molto modesti, un tempo limitato a disposizione, informazioni non sempre esaustive, pressioni sociali fortissime.
I servizi tutelano i diritti dei più deboli, persone che non hanno sindacati che scendano in piazza per loro e non hanno voce in una cultura come quella ancora largamente dominante in Italia, dove il legame di sangue viene considerato più importante della qualità delle relazioni che si sviluppano all’interno della famiglia. Famiglia vista ancora come tempio inviolabile in un Paese come il nostro che allontana 4 volte meno i minori dalle loro famiglie rispetto a quanto fanno Francia , Germania e paesi del Nord Europa. Abbiamo visto tutti nell’estate 2023 a Caivano e Palermo come le ragazzine stuprate dal branco non siano rientrate in famiglia, perché la magistratura ha valutato che fossero proprio le loro famiglie ad “offrirle in pasto” al branco come consuetudine di contesti malavitosi. La Regione Piemonte ha approvato una legge sostenuta dall’assessore regionale di Fratelli d’Italia che ha un nome agghiacciante: “Allontanamenti zero” e ha l’effetto di rendere molto difficile l’allontanamento dei minori anche da famiglie violente. Lega e Fratelli d’Italia l’hanno proposta anche in Regione Emilia-Romagna. Chissà se questi esponenti politici applicherebbero anche a Caivano e a Palermo la regola allontanamenti zero.
Questi effetti collaterali sono le ricadute politiche, sociali ed esistenziali più pesanti della vicenda Bibbiano, indipendentemente dall’esito del processo.
4) Il quarto strato è il più noir. Se ne parla poco perchè è inquietante. Secondo i dati del Ministero dell’interno ogni anno 1.300 minori italiani e 9.000 minori stranieri scompaiono e non si trovano più. Non finiscono tutti nel traffico d’organi. La pedofilia non è un fenomeno relegabile al vecchio bavoso al giardinetto: è molto diffuso e vanta protezioni forti, anche in sedi istituzionali. Ad esempio, la Sindrome di alienazione parentale (PAS nel suo acronimo inglese) è una malattia inesistente nei manuali di psichiatria, mai riconosciuta da nessuna università, bandita come fandonia dalla Corte costituzionale degli Stati Uniti e dalla Camera italiana. Secondo questa teoria i bambini che dicono di essere stati abusati, nel 98% dei casi sono bugiardi, perché indotti dalla madre che vuole allontanarli (alienarli appunto) dal padre. Questa pseudo teoria è stata costruita da un medico statunitense, tal Richard Gardner (difensore di ben 400 pedofili in cause giudiziarie) secondo il quale la pedofilia sarebbe un problema solo per la cultura giudaico-cristiana perché nelle altre culture sarebbe scontata (sic!). Del resto sempre secondo Gardner il bambino abusato non va allontanato dal genitore abusante in quanto il sesso in età infantile lo aiuterebbe a fare i conti con la vita e ad accelerare il processo di iniziazione sessuale (ri-sic!).
Ebbene può sembrare strano, ma questa teoria era un punto fondamentale sostenuto dal senatore Pillon nella riforma del diritto di famiglia prevista dal governo gialloverde (cfr. la puntata di Presa diretta del 28.1.19) e tutti gli esperti di cui si avvale Pablo Trincia nel podcast Veleno a sostegno della sua narrazione, sostengono aspetti questa teoria. Se dunque la tesi degli accusatori è “meglio abusati, ma in famiglia che allontanati”, è tempo di porre la questione di chi sta difendendo realmente i bambini.
5) L’ultimo strato dell’epicentro riguarda il modo con cui è stata condotta questa inchiesta: grande eco mediatica nel suo lancio, debolezza estrema del materiale probatorio prodotto finora dall’accusa nel momento in cui in sede dibattimentale. Già prima del dibattimento si era appurato che l’elettroshock era in realtà il metodo EMDR, utilizzato quasi ovunque per diminuire gli effetti dei traumi, il sexy shop gestito da una famiglia affidataria era in realtà un negozio di intimo, alcuni indagati raggiunti davanti a casa con i lampeggianti dai carabinieri sono stati prosciolti pochi mesi dopo, il disegno che avrebbe dovuto mostrare inequivocabilmente le manipolazioni di una psicologa è stato diffuso sui media largamente deformato. Nel dibattimento finora diversi testimoni dell’accusa hanno modificato radicalmente la versione fornita in sede istruttoria (per una puntuale descrizione di questi fatti rimando di nuovo agli articoli di Simona Musco sul Dubbio). Dalla cronaca delle udienze sembra che il teorema accusatorio sia frutto di un’analisi abbastanza superficiale. Purtroppo molti di questi capi d’accusa cadranno in prescrizione l’anno prossimo. Sarebbe giusto che gli imputati potessero difendersi, evitando l’infamante epiteto di “prescritti”.
Ad esempio nella motivazione della sentenza che assolve Foti in appello il giudice si chiede come mai il giudice di primo grado “ometta di confrontarsi con fonti scientifiche e precedenti giurisprudenziali” e aggiunge che “la diagnosi formulata dalla perita è disancorata da evidenze scientifiche e fondata su un metodo basato su mere intuizioni”
Sarà dunque importante documentare con precisione i vari passaggi che avverranno. Questa è la chiave di volta del processo: ciò che si riesce a dimostrare in aula, non ciò che si scaglia addosso sui media come in un rito voodoo.
Insomma uscire dal labirinto degli strati dell’epicentro Bibbiano comporta un viaggio abbastanza tortuoso. Ho provato a tracciare la strada, ma ci sono ancora molti approfondimenti da fare.
Veniamo allora alle 3 lezioni da trarre da questa vicenda
1) La prima lezione riguarda l’inquadramento preciso della posta in gioco che è stata oscurata da una polemica fuorviante. La posta è la seguente: i bambini sono proprietà delle famiglie o sono titolari di diritti ? e chi si deve far carico di difendere questi diritti se non le istituzioni?
Le contrapposizioni ideologiche (come quella tra Renzi e Travaglio dopo l’assoluzione in appello di Foti) non aiutano. Nemmeno le scuse formali senza entrare nel merito di cos’è successo (come quelle di Mentana a Foti al TG7) servono per comprendere, anche se sono un segno di civiltà.
Ma, come si dice in gergo, “la gente vuole sapere”.
Per questo c’è un’ulteriore posta in gioco che consiste nella descrizione puntuale e meticolosa di ciò che è accaduto concretamente nel distretto della Val d’Enza. Se le accuse riguardavano bimbi sottratti alle loro legittime famiglie e soldi mal gestiti in quello che è stato definito “un giro d’affari”, la gente deve sapere, al riparo da facili teoremi precostituiti contro e pro, prescritti o meno gli imputati, se :
a) C’erano gli estremi per questi allontanamenti (peraltro chiesti dal Tribunale dei minori)
b) Le famiglie affidatarie hanno speso i soldi ricevuti per gestire in modo congruo i minori a loro affidati (pezze giustificative alla mano)
c) La retribuzione dei professionisti esterni è stata superiore agli standard previsti (contratti e tabellari alla mano)
Se tali accuse risultassero infondate, chi ha commesso errori di valutazione con conseguenze così gravi non solo sugli accusati, ma su tutto il sistema di protezione dei minori, deve essere chiamato a risponderne.
Dopo tanto impegno per tenere “emozionata” l’opinione pubblica è tempo di altrettanto impegno per informarla sui dettagli. È un impegno che il sistema dei media, i politici ei tecnici devono prendersi.
2) La seconda lezione riguarda la costruzione di ipotesi sul silenzio delle forze politiche che più si sono battute nel ‘900 per la tutela dei diritti e per la costruzione del welfare che è il prodotto più prezioso della democrazia: sancendo che i più fragili devono essere tutelati e non abbandonati a loro stessi, la nostra civiltà ha compiuto il più importante salto di qualità, diminuendo il suo tasso di sadismo. Cosa ha impedito l’emergere di qualsiasi reazione garantista su questa vicenda?
Azzardo un’ipotesi. In questo tempo dove alle persone vengono chieste sempre più ‘prestazioni’ in ogni campo della vita, la paura di essere inadeguati porta sempre più genitori a scaricare attese e pretese esagerate su se stessi, sui figli e sulla scuola.
In questa società iperprestativa dove la perfezione sta diventando la normalità, l’interrogativo che è probabile sia sorto nella maggior parte dei genitori è “siccome non riesco ad essere all’altezza di queste esigenze performanti, non capiterà mica che vengano a guardare anche in casa mia che qualche volta due urla e forse anche uno scapaccione mi sono scappati con i miei figli? A me che ho fatto di tutto per ‘tirarli su’ bene? E poi ho sentito dire di diversi interventi sbagliati dei servizi sociali. Cosa vuole da me lo Stato? Cosa posso fare di più di quello che faccio?”. Il nodo, profondo e ineludibile, non liquidabile con qualche richiamo ai diritti è: “Potrebbe succedere anche a me”. È una materia scivolosa e incandescente, triangolata da smisurate dimensioni simboliche e dunque politicamente molto manipolabili, affidata a persone come gli assistenti sociali che hanno un appeal assai minore di quello di magistrati e medici.
Cinque anni di silenzio sono troppi per venire spiegati solo con la tattica politica o con il persistente patriarcato della cultura italica.
“Da vicino nessuno è normale” diceva saggiamente Franco Basaglia. Nessuno di noi è un cittadino perfetto, un lavoratore perfetto, un genitore perfetto. È il riconoscimento dell’imperfezione che rende le nostre umanità vicine e che deve stare alla base di un sistema di mutuo aiuto dove famiglie naturali, famiglie affidatarie, volontari, servizi, professionisti, consulenti, si vivono come parti di una comunità che ha tutta insieme la responsabilità di ascoltare, crescere, proteggere i minori.
La democrazia non vive se non viene fatta costante manutenzione dei motivi della sua esistenza, nel nostro caso dei diritti e delle organizzazioni che la incarnano (i servizi di welfare). La memoria umana è corta e il contesto iperveloce e iperprestativo (= violento) in cui siamo immersi la fa evaporare e la confonde continuamente.
3) La terza lezione, a mio avviso la più importante, che possiamo trarre da Bibbiano riguarda il modo di fare politica oggi e nasce da una piccola esperienza nata a Reggio Emilia (15 km da Bibbiano) da un gruppo di persone impegnate dal 2019 raccogliere e diffondere notizie sulla vicenda della Val d’Enza; avendo constatato che: a) bussare alle porte di partiti e istituzioni sembrava inutile, b) contrapporsi pubblicamente finiva per favorire chi attendeva solo l’occasione per riproporre la narrazione che aveva asfaltato l’immaginario, c) raccontare tutta la verità finiva per spaventare troppo le persone, ha cercato di collocare la discussione intorno a Bibbiano togliendo di mezzo il tema del processo, degli imputati e di Bibbiano stessa, spostando le argomentazioni su un dato di realtà: gli effetti collaterali della vicenda Bibbiano. Questo gruppo di persone ha scritto un manifesto denominato Abusi zero (smarcandosi dunque dalla logica degli Allontanamenti zero), basato su un assunto inconfutabile e dunque condivisibile anche da una cerchia più larga di persone, incluse quelle che sospendono il giudizio sul processo: l’indebolimento del sistema di protezione dei bambini, porta a un più fragile sistema di protezione delle stesse famiglie naturali, che in molti casi raccontano storie di formidabile collaborazione tra famiglie affidatarie, servizi e comunità. Il sistema degli affidi nel 90% dei casi si basa sulla consensualità della famiglia naturale, perché parte da condizioni di difficoltà riconosciute dai genitori di bambini affidati per problemi economici, culturali o per sovraccarichi lavorativi (ad esempio famiglie con un solo genitore che lavora di notte, altre che richiedono un sostegno solo per il fine settimana o per il pomeriggio per fare i compiti: gli affidi sono raramente per tutti i giorni della settimana); nel dibattito infernale seguito al lancio dell’inchiesta sulla Val d’Enza, che ha definito le famiglie affidatarie in generale in Italia come approfittatrici, si è smarrito il dato che gli affidi a seguito di allontanamenti stabiliti dal tribunale riguardano un’esigua minoranza. Gli affidi si basano su un’alleanza tra famiglie naturali e famiglie affidatarie, favorita e garantita dai servizi sociali; non ingaggiano battaglie all’arma bianca tra buoni e cattivi; sono un incontro tra persone orientate a cercare la soluzione migliore per prendersi cura dei minori.
Lo schema binario ‘allontanamenti SI \ allontanamenti NO, che Angeli e Demoni ha reso mainstream, è perverso perché oscura un modello di presa in carico dei minori basato sull’assunto ‘tutti insieme per proteggere i bambini’.
Chi ha steso il manifesto Abusi Zero, non si è fatto prendere dalla bulimia del numero di firme, anche se in brevissimo tempo ha raccolto 1.000 adesioni (tra assistenti sociali, famiglie, educatori, medici, pediatri, volontari, insegnanti, consulenti, psicologi, comunità di accoglienza) anche oltre il territorio di Reggio Emilia, è diventato, senza esserselo posto come obiettivo, oggetto di attenzione mediatica anche di periodici nazionali, è stato votato come ordine del giorno (a volte all’unanimità) da consigli comunali di città e di paesi.
Quel che più conta mi sembra sia la genesi di questa “cosa” che dall’esterno viene definita “movimento”, ma che non lo è per ciò che solitamente si intende con questo termine (non ha una personalità giuridica, non ha cariche).
La genesi di questa modalità di mobilitazione mite e riservata nasce dal fatto che il gruppo di persone che si è preoccupato fin dal 2019 della gravità della vicenda Val d’Enza è stato costretto a incontrarsi al riparo da riflettori mediatici e, pur riuscendo a far convergere nello stesso luogo a volte diverse centinaia di persone, l’ha dovuto fare riparandosi da convocazioni pubbliche che avrebbero rischiato irruzioni di mass media votati alla manipolazione o di forze politiche con la bava alla bocca (forse non tutti ricordano il clima d’odio che si era scatenato; una nota di colore può essere utile al riguardo: nell’estate del 2019 gli albergatori che ospitavano persone provenienti dal Comune di Bibbiano in vacanza, chiedevano di non dichiarare la loro provenienza per evitare di ledere l’immagine dell’hotel). L’esercizio di questi incontri catacombali (resi ancor più necessari dalla pandemia) ha prodotto l’intuizione che si stava costruendo uno spazio pubblico nuovo: in presenza, senza l’ossessione della visibilità su social e media.
Il tema della presenza dei corpi diventa centrale. Tutti sappiamo che un corpo comunica anche se resta muto quanto a linguaggio verbale. Abbiamo tutti sperimentato durante la pandemia la differenza tra l’essere in presenza e lo stare in call. Oggi facciamo esperienza di entrambe le dimensioni e percepiamo nettamente la qualità profondamente diversa degli scambi, la fiducia che si può costruire solo guardandosi negli occhi, gli smottamenti comunicativi che un colpo di tosse, un piccolo spostamento corporeo o anche il semplice silenzio in presenza, possono produrre. Ovviamente fare considerazioni di questo tipo in un tempo in cui ci si sta attrezzando alla rivoluzione dell’intelligenza artificiale, rischia di venire bollato come paccottiglia retrò. Tuttavia da un lato l’intelligenza artificiale è velocissima nell’organizzare la razionalità calcolante, ma è come un bambino di pochi mesi rispetto alla comprensione dell’intelligenza emotiva che è di una complessità infinitamente maggiore; e senza intelligenza emotiva il mondo diventa un inferno.
Dall’altro lato tutti percepiamo l’inautenticità dell’esperienza della vita sociale ridotta a evento virtuale con un’appendice fisica solo strumentale, come, ad esempio, eventi di quattro persone che inscenano una protesta, filmati e viralizzati sui social per milioni di visualizzazioni.
A cos’altro dovremmo attribuire la psicopatologia di massa che potremmo definire “negazione dell’evidenza del principio di realtà” (no vax , terrapiattisti, negazionisti climatici, ecc.) se non a una presa di distanza in termini paranoici (“è colpa di qualcuno”) rispetto al degrado complessivo del mondo e ai rischi di un’autodistruzione dell’umanità? Sono paure che il Covid ha solo sdoganato e amplificato, ma che circolavano da tempo. Già vent’anni fa Baudrillard aveva scritto che mentre un tempo l’immaginario era una via di fuga da un mondo dominato dal principio di realtà, oggi il reale sembra diventato la nostra utopia, come un oggetto perduto in un universo retto dal principio di simulazione. Fake news e post verità sono prodotti di questa scena. Non si può restarne che disorientati se non si coglie la posta in gioco che è quella di trovare un senso alla nostra esistenza (il problema più concreto che abbiamo quando veniamo scaraventati senza averlo scelto in questo mondo) in un contesto mondiale dove la prospettiva cataclismatica non è più un pensiero remoto. Che senso ha dunque protestare, manifestare, raccogliere firme, se tutto viene costantemente triturato all’interno di una melassa dove nel giro di poche ore la notizia più importante viene scavalcata da un’altra costruita per oscurarla? Che senso ha se ogni notizia, anche la più seria, non viene presa sul serio (come nel film Don’t look Up), perché nulla sembra più vero, visto che ci stiamo adoperando come collettività per rimuovere la realtà profonda che stiamo vivendo?
Questi cinque anni di rimozione della sostanza della vicenda Bibbiano sono stati anche anni di un’imponente e veloce trasformazione dell’immaginario collettivo. Per questo viene da pensare che le scelte compiute dal gruppo di Abusi zero per tenere viva in un numero il più ampio possibile di persone la comprensione della posta in gioco (incontri in presenza, non assillo dei like e dei comunicati stampa, essere per più che contro) costituiscano un sentiero per provare ad attraversare questo tempo in modo democratico. L’obiettivo non è costruire sottoterra un Godzilla di formiche che un dì si staglierà all’orizzonte per prendere il potere, ma collegare le tante piccole esperienze positive che esistono già, dando fiducia a chi è sgomento attraverso una vicinanza. L’esercizio democratico dell’autorità non è “delegami che ci penso io a risolvere“, ma è “sono qui con te a gestire questo pezzo di strada, non so bene come andranno a finire le cose, ma se stiamo insieme qualcosa di buono succederà”. Può sembrare molto impolitico. Ma le altre vie stanno accatastando naufragi.
Concretamente, rispetto a Bibbiano serve un nuovo patto tra famiglie, istituzioni, servizi, agenzie educative, professionisti. Una nuova alleanza che in questi anni è stata fortemente indebolita. Si può costruirla solo incontrando fisicamente le persone in gruppi a volte piccoli a volte ampi, lasciando che sia l’evoluzione delle consapevolezze a chiamare in causa di volta in volta, con diverse modalità, diverse tipologie di attori. La diffusione attraverso i social è molto utile se c’è un “piede d’appoggio” di incontri tra corpi.
Non ci sono ladri o derubati di bambini, perché i minori non sono una refurtiva o una merce di scambio.
Bibbiano è un intreccio molto complesso in cui ogni filo che si tira estrae un tema cruciale. Ogni volta che se ne parla inevitabilmente si semplifica. Per questo mi sembra importante evidenziare i diversi livelli di questa vicenda e i loro intrecci. In queste pagine ho cercato di evidenziare alcuni, confidando che altri proseguano su questa strada.
3 commenti On Bibbiano: un epicentro multistrato con alcune lezioni per la politica
Dopo aver letto lo scritto di Gino, “cinque strati, tre lezioni”
Condivido quello che viene presentato: condivido i contenuti e il modo di argomentarli e proporli
Aggiungo che secondo me non si tratta tanto di assumere la “sostanza profonda” , quanto di prendere contatto diretto con la realtà e con l’intrinseca complessità che tendiamo a evitare
Tento di entrare in gioco e mi domando che cosa ha messo in moto il terremoto
Per restare nella metafora quali spostamenti di faglie si sono creati dando vita ai fenomeni descritti
Porto l’ipotesi che ne siano avvenuti almeno due di notevolissima portata
I. Secondo me negli ultimi decenni è più consistente, diffusa e penetrante anche nei contesti micro-sociali (famiglia, scuola, sport, spettacoli…..) l’ostilità nei confronti delle nuove generazioni:i bambini vengono sfruttati e idealizzati, maltrattati e coperti di regali, classificati e esaltati, oggettivati nelle disposizioni amministrative e nelle erogazioni finanziarie… Forse è collegato a una tendenza a non investire nel futuro o a investire solo in quello dominato dall’intelligenza artificiale e dall’approdo sulla luna e su marte che dimostrano l’onnipotenza raggiuta dai terrestri
I bambini rompono, danno fastidio, fanno perdere tempo, non corrispondono a quel che ci si aspetta da loro e cioè di essere amati e apprezzati e la paura di non essere adeguati forse è collegata alla ricerca di riconoscimenti e conferme dell’immagine di sé di cui siamo tutti affamati ….Per ragazzi adolescenti e giovani la situazione mi pare ancora peggiore: sono sistematicamente non ascoltati, esclusi, repressi, giustamente, legittimamente, doverosamente repressi. (perché vanno educati) Vengono attribuiti continuamente doveri ben più che rispettati diritti
Nel passato le nuove generazioni erano considerate inevitabili e indispensabili per la sopravvivenza: per l’esistenza sulla terra da coltivare e scoprire e anche per la continuità delle famiglie, delle proprietà, delle aggregazioni tra gruppi, delle idee che danno identità . Da quando, grazie alle evoluzioni tecnologiche, la procreazione è frutto di scelte, è passaggio travagliato in cui hanno un peso crescente le donne, e forse anche le contradditorie interpretazioni del loro ruolo nei paesi occidentali : intorno al dare vita si addensano e condensano fattori probabilmente anche in gran parte inconsci che poi prendono consistenza in modo minaccioso, per cui si tende a difendersi. Non si trovano ambiti di elaborazione collettiva ovvero quelli che vengono esposti e proposti sono marcati da tensioni rivolte a dominare, sottomettere, far prevalere distruggendo per poter imporsi e imporre
II.L’altro spostamento di faglia secondo me è avvenuto e sta avvenendo pesantemente nell’ambito delle conoscenze con cui si accostano, interpretano e valutano, i fenomeni che si manifestano con il corpo, con i corpi e nei corpi, e tuttavia non sono immediatamente visibili: i fenomeni che le scienze cosiddette sociali stanno ri-conoscendo da centocinquant’anni a questa parte, svelando che l’essere umano non solo non è padrone dell’universo ma neppure di se stesso, che la razionalità è limitata, che l’individuo esiste in quanto vive in relazione con gli altri, che l’ambivalenza è intrinsecamente presente, che nessuno è normale e tanto meno perfetto ………
Le conoscenze del sociale sono pesantemente delegittimate perché ogni fenomeno viene interpretato entro una impostazione economica semplificata, riduttiva, ridotta cioè a contenuti numerici, a calcoli astrattamente imposti per venderli come oggettivi e pertanto indiscutibili: non c’è che adattarsi alla visione fornita dalle scienze ”esatte”, usate per smentire quello che si è appreso sulle condizioni in cui può crescere un essere umano dotato di intelligenza e autonomia, su come si può convivere nelle differenze, come si può interagire con degli avversari senza farli diventare nemici da distruggere con la guerra,….
E chi è ( o potrebbe, dovrebbe essere) portatore di conoscenze collegate alle scoperte delle scienze sociali, si sottomette alla impostazione dominante e rischia di avvilire il proprio patrimonio di conoscenze accettandone (quasi sentendosi in posizione di inferiorità) un utilizzo strumentale, allineandosi a quanto praticato nell’ambito della medicina e del diritto: basti pensare agli psicologi
Non so se esista una “psicopatologia di massa”: patologia rimanda a una situazione malata da curare e guarire. Forse quello in cui ciascuno di noi non può non essere implicato e impegnato è una sorta di costruzione /tessitura di interazioni e confronti di elaborazioni conoscitive da re-immettere nelle interazioni con la gente che possiamo incontrare o riunire (come il gruppo Abusi Zero) anche in condizioni e situazioni impensate, come una mostra di foto o di disegni, uno spettacolo cinematografico o teatrale, una gita, una questione che interessa i ragazzi a scuola o che per le più varie ragioni fa uscire di casa madri e padri, insegnanti e preti
E qui si pone l’interrogativo di come interagire con le istituzioni che anziché tutelare i cosiddetti diritti, li mortificano . E se si osa richiamare questo aspetto si è considerati incapaci di considerare tutti i bravi insegnanti che danno il massimo
Una delle difficoltà di tutelare i diritti dei ragazzi è secondo me ricollegabile a vedere sempre la scuola come rappresentata nella figura dell’insegnante che trasmette passione e interesse, ecc (Recalcati) Nel rapporto interindividuale non si tutelano i diritti e forse neppure si accompagna a riconoscere il contesto variegato, violento e contradditorio in cui ci si trova a vivere e a crescere
Tutti sono proiettati sui progetti sotto la spinta data dal PNRR e sembra si faccia riferimento più alla realtà virtuale che alla realtà in cui si è immersi ogni giorno che è marcata da inerzie e ripetitività: è frustrante, deprimente e è meglio lasciar perdere per concentrare l’attenzione sul positivo che mobilita e entusiasma
Ho tanti anni sulle spalle: troppi… non riesco a pensare di morire senza aver cercato qualche ipotesi con cui mettere in campo più affetto e rispetto con i bambini, tenendo conto di quello che abbiamo appreso dalle ricerche delle scienze sociali del secolo scorso.
Sono d’accordo con ciò che ha scritto Gino Mazzoli dalla prima all’ultima riga: Lo ringrazio, e ringrazio il blog.
Aggiungo molto sinteticamente alcune ipotesi ulteriori, generali e sulla vicenda specifica, che ritengo abbiano avuto un peso.
Le ipotesi non esclusive per Bibbiano, ma più diffuse, per me sono:
– il gusto, l’accanimento, il compiacimento con cui molti godono quando è possibile umiliare una qualche autorità (qui la giustizia minorile e i servizi che possono allontanare… ma accade anche con medici, insegnanti, partiti politici, ecc…)
– il bisogno di fidarsi di versioni semplificate e abbrutenti della realtà, senza fare la fatica di guardare dentro alle cose;
– il nessun valore dato alle parole; la diffamazione via social (e a volte anche via stampa) è sport nazionale di enormi proporzioni, e nessuna considerazione da parte di chi potrebbe disincentivarlo;
– il discredito diffuso sulla necessità di costruire competenza per potersi occupare di porzioni di mondo (tutti si sentono politologi, in pandemia tutti epidemiologi… ma è così da un pezzo);
– quanto sopra è aggravato dalla circostanza per cui, siccome tutti siamo stati bambini e tutti siamo nati in una famiglia (pressappoco), proprio l’infanzia e la relazione educativa sono temi che si ritiene chiunque possa valutare; è la favola per cui tutti (quasi tutti) parliamo e ascoltiamo, quindi che bisogno c’è degli psicologi?, ecc.
– si avverte il bisogno, nella complessità, di una giustizia chiara e netta e rassicurante come è sempre stata quella degli adulti, che poi è lentissima e ha mille difetti ed errori ma almeno dice “giusto” e “sbagliato”; dice “bianco” e “nero”, non come la giustizia dei bambini che mirava a sollecitare processi di cambiamento nelle relazioni, questo voleva fare, o a trovare mediazioni tra diverse culture professionali e diverse angolazioni attraverso i giudici onorari. La cura della complessità sta sullo stomaco, lo si vede in tanti campi.
Aggiungo alcune annotazioni proprio sul caso Bibbiano:
– vedo una responsabilità della giustizia minorile e di tutto il sistema di tutela dei bambini, che per molto tempo ha pensato fosse sufficiente lavorare bene senza curarsi di raccontare le proprie pratiche e le proprie logiche, senza far crescere in una comunità più ampia la concezione del bambino come persona titolare di diritti e di bisogni propri, e non proprietà dei genitori (può anche darsi che, per mancanza di risorse ecc., non si sia potuto fare di meglio, già può essere difficile dare risposte alle famiglie e ai bambini in difficoltà; o forse si pensava di avere raggiunto l’obiettivo e non si era capito che il pensiero comune torna indietro di cinquant’anni alla volta se non viene alimentato. Per me un qualche sforzo in più si sarebbe potuto e dovuto fare, coralmente, e alleandosi con altre professioni). Perché se quella crescita ci fosse stata, riprendo Mazzoli, si sarebbe magari dubitato del Servizio di Bibbiano, o dell’Hansel e Gretel, o del tribunale per i minorenni di Bologna, ma non sarebbero intervenute norme per mettere fuori uso la tutela dei bambini. Dopo un caso di malasanità si grida allo scandalo, si fanno i processi, ma non si smantellano gli ospedali;
– la responsabilità di un sistema di tutela e di una società scientifica che non fanno abbastanza valutazione dei propri percorsi, o che se poi ci provano non la sbriciolano affinché diventi patrimonio comune. Abbiamo tutti in mente (tutti quelli del settore, intendo) che ci sono cicli intergenerazionali non solo nella violenza di genere ma anche nel maltrattamento sui bambini, o nella trascuratezza estrema, eppure per chi sta al davanzale le famiglie d’origine sono tutte il luogo migliore dove crescere perché l’amore basta da solo. in effetti non sono sicura che l’amore ci sia sempre ma, anche quando c’è, non sempre basta, riflessione che mi porto dietro da tempo;
– la distanza che il mondo adulto mette tra sé e i bambini: è poco pensato, che in una ricerca sui ragazzi fuori famiglia si possa chiedere a loro, con le modalità più adatte, di raccontare come vivono in affido o in comunità, le volte che mi è capitato di proporlo a un servizio sociale ho letto lo smarrimento e la paura negli occhi delle operatrici. Se negli ultimi dieci anni qualcosa si è smosso (penso ad Agevolando) è perché gli ex ragazzi fuori famiglia hanno deciso di prendere la parola (bravi!), è merito loro. Altro esempio: con l’eccezione del tribunale per i minorenni che ha sempre ascoltato i bambini, la giustizia ha messo in pratica molto poco il diritto dei bambini a essere ascoltati in tutto ciò che li riguarda. I tribunali si sono schermiti dietro alla finzione di voler evitare uno stress al bambino ma non è vero o non è tutto lì, erano gli adulti a volersi riparare dall’incontro ocn il linguaggio e lo sguardo differente dei bambini e a breve, con la nuova, futura geografia giudiziaria, chissà che cosa accadrà;
– la giustizia minorile aveva davvero un’ottica necessariamente diversa da quella che generalmente si immagina avendo qualche esperienza della giustizia degli adulti, per capirci qualcosa bisognava studiare, osservare e capire, ma non lo si è fatto. Se questo è ben comprensibile per l’opinione pubblica non lo è per inquirenti, politici e giornalisti che avevano il dovere di conoscere prima di avanzare accuse;
– tutto ciò che si è attribuito agli operatori (in senso lato) del caso Bibbiano è stato agito da chi lo ha montato: nel nome della presunzione d’innocenza si rimproverava ai tribunali per i minorenni di credere ai maltrattamenti prima delle sentenze (c’è il suo perché, ma già la sto facendo lunga) però per gli imputati di Bibbiano la presunzione d’innocenza è stata una chimera; venivano accusati di manipolare i colloqui, le relazioni o i disegni dei bambini, ma la cronaca del processo che si legge sul Dubbio qualcosa sembra dire in senso inverso…;
– quando ci sono stati gli arresti del caso Bibbiano, la politica aveva già perso da tempo il contatto con il valore di ciò che si fa con bambini e famiglie e non è riuscita a rivendicare orgogliosamente un modo di lavorare suscettibile di errori certo, come ogni cosa umana, ma che non era affatto da buttare via;
– e in ultimo, se è stato così facile gettare fango sui servizi come sui giudici minorili, dobbiamo chiederci se non siamo stati anche noi poco accoglienti, o con il giudizio negli occhi dei 50 casi simili che abbiamo visto andare a catafascio per cui non siamo riusciti a dare speranza al 51esimo che avevamo davanti, o con la presunzione di sapere come si interpreta un comportamento senza chiedere all’interessato di aiutarci a capire le sue ragioni. E anche su questo c’è da pensare. Intanto si affermano progetti e prassi che puntano alla valorizzazione delle risorse delle famiglie e non all’esaltazione delle difficoltà, cosa che entro certi limiti – il maltrattamento lo riteniamo inammissibile – va anche molto bene e porta buoni frutti, ma a volte assomiglia a una specie di ridimensionamento perché il clima è cambiato… e chissà cosa è necessario veramente ai bambini.
Mi fermo, il commento è diventato un piagnisteo nostalgico, non volevo dargli questo carattere.
Credo occorra una profonda riflessione su quanto è accaduto, nei settori, tra i settori e nella comunità più ampia. E forse, visto il procedere della vicenda giudiziaria reggiana, comincia a essere tempo perché quella riflessione si possa fare.
Grazie.
Condivido le analisi approfondite sul percorso che si intravede, ma ancora non si vede. Un veleno carsico, che sta pian piano venendo alla luce (perchè la verità prima o poi viene alla luce). Ci si chiede perchè tutto questo deve essere successo ad amministratori locali, operatori che lavoravano con e per i bambini e le loro famiglie, con le istituzioni (tutte), con il terzo settore, le famiglie affidatarie e i bimbini stessi. Molte risposte sono sia nell’articolo del dottor Mazzoli, che nella risposta della dottoressa Manoukiann e della dottoressa Buccoliero. Ma non mi capacito. Penso allora a nuovi (vecchi ) paradigmi, come l’aporafobia (l’odio, il disprezzo verso i poveri, i fragili, verso coloro che sono senza voce). In Spagna è entrato nel codice penale come aggravante, cioè le violenze afflitte con il movente di aporafobia, sono aggravanti. In tutto questo leggo questo odio, questa colpa per essere “povero”, per essere “bambino” che confida la sua sofferenza ad opera dei propri cargiver ad un estraneo. Un disorientamento da una inversione disavaloriale, che ho trovato solo nel percorso che ha portato nel ‘900 le peggiori performance umane. Come dice Orwell “quanto più una società si allontana dalla verità, tanto più odieranno quelli che la dicono”; come dice Zamagni: “il governo ha paura dei poveri e dei solidali”, tant’è che nel 2019 scriveva che “il terzo settore è sotto attacco, un conflitto mai visto”. Penso allora che Bibbiano, Riace, la guerra alle ONG, le cose terribili che sono accadute a Caivano o al Beccaria, per come sono state trattate, gestite, comunicate, rappresentano atti eversivi. Le parole, sono archetipi, nel momento in cui le pronunciamo e le condividiamo anche in forma scritta, fiondano nei nostri processi cognitivi, nelle storie, nei significati ancestrali. Entrano e vanno a collocarsi al “loro posto”. Ma quando questo “posto sicuro” percepisce una forte dissonanza, la porta del “posto” rimane chiusa. Tutto allora si trova in un limbo. E le parole come: rispetto delle norme, dei trattati internazionali, della Costituzione, della solidarietà, dell’empatia, dei paradigmi psicologici… parole come comunità’, coesione sociale, advocay, protezione, sostegno, supporto etc.. non trovano casa. Erano capisaldi indistruttibili. Modificando il senso delle parole, si trasforma e si sbriciolano sicurezze identitarie: le fondamenta di una società che era riuscita a trasformare l’odio feroce, in una convivenza che tendeva ad alimentare processi democratici. Cosa chiedeva Hitler al proprio sistema “educativo”: “La mia è una pedagogia dura. La debolezza dev’essere bandita. Nelle mie cittadelle dell’Ordine crescerà una gioventù di cui il mondo dovrà aver paura. Io voglio giovani violenti, dominatori, temerari e crudeli. I giovani devono essere tutto questo. Devono sopportare il dolore. In loro non ci dev’essere debolezza o gentilezza alcuna .”
Occorre allora resistere agendo, nella consapevolezza che non si vuol “colpire uno”, ma si vuol colpire il DNA dei presupposti della relazione. Chi lavora in questi ambiti occorre che faccia lo sforzo di alzare le mani, la penna, la parola, non in segno di resa, ma in segno di affermazione!! il PRIDE della Verità